Come splendide Rose cresciute in vaso

Dal 2008 incontro nel mio studio bambini con disagio e le loro famiglie. In questo tempo ho raccolto osservazioni, studiato teorie, elaborato un pensiero mio ma soprattutto maturato una serie di intuizioni che hanno come denominatore comune l’aggressività materna inconscia.
Quello che vorrei fare con questa rubrica è seguire i riflessi luccicanti che ho trovato qua e là nella mia storia personale e nella mia pratica professionale, convinta che questi temi abbiano un’eco profonda dentro di me, in qualità di donna, di terapeuta e di madre.
Come vi dicevo, nella mia pratica clinica, spesso mi trovo di fronte al disagio di un bambino.
Qualche volta questo disagio è associabile alla dimensione famigliare o più nello specifico è la risposta diretta ad un’ambivalenza materna ossia ad un contenuto inconscio a tonalità aggressiva.
In alcuni casi questo contenuto risale alla nascita del bambino ma in altri opera e si sviluppa da molto più tempo e comprende la storia famigliare, la dinamica generazionale e in alcuni casi la cultura di appartenenza.
Il fenomeno che vorrei sottoporre alla mia e alla vostra attenzione è questo disagio ma ancora di più la tipica configurazione femminile ad esso collegata. La cosa che ha catturato il mio interesse non è tanto la dinamica psichica ma la sua diffusione e la specifica configurazione attuale. Se infatti è vero che ogni percorso che intraprendo rivela un movimento unico e irripetibile, è anche vero che spesso mi trovo di fronte alla necessità di effettuare lo stesso tipo di lavoro: accompagnare l’avvio di progetti di vita più sintonici nei confronti di contenuti inconsci, re-impiegando energie aggressive inconsciamente impegnate in progetti altrui oppure letteralmente disperse in sistemi di sabotaggio dell’altro specie se maschile (interno ed esterno).
Questo lavoro, lento e silenzioso, porta la donna più vicina a se stessa, più vicina agli altri umani e cosa straordinaria più vicina allo sviluppo dell’umanità nel suo insieme.
Lavoro che è poi la fatica che sto facendo io nella mia vita individuale. E cos’è questo movimento se non la graduale incarnazione dell’archetipo della grande madre o meglio ancora lo sviluppo per ciascuna della funzione materna, nella connotazione junghiana? E si badi bene, di Madre Terra e di Grande Madre in circolazione se ne trova pure parecchia ma sembra sempre stanca e soprattutto arrabbiata. Il femminile e il materno di cui scrivo spesso sono ridotti ad una radice quadrata e l’immagine più rappresentativa di quello che intendo si trova nell’ambientazione da cui si sviluppa una fiaba a me cara, “La Regina della neve” di Handersen ((Andersen H.C., La regina della neve. Tr. it. RCS Libri. Milano 2005)). In questo paese le case e le strade sono piene di alberi e di rose (non a caso) ma sono tutte piante in vaso. Donne pronte ad ogni sfida, anche quella più spinosa ma al minimo del loro reale potenziale, insomma come splendide Rose cresciute in un vaso.
Dovrebbe essere ormai chiaro che l’ipotesi che avanzo è che questa configurazione non parla solo dell’esperienza personale di alcune pazienti che ho seguito in questi anni ma parla di una questione collettiva. Un processo che si dispiega da molto tempo e che ha influenze sulla psicologia maschile e femminile ma che scelgo di descrivere dal punto di vista della psicologia femminile, a me più vicina.
E la chiave di lettura più interessante la trovo ancora nell’opera di Jung e nel suo concetto di ipotesi finalistica.
Le donne che oggi sono portatrici di questa configurazione patologica potrebbero portare in nuce, “in ghianda”, un’evoluzione possibile del collettivo.
Le donne che, portatrici di elementi individuativi, possono “scuotere un sistema di valori esistenti”, verso una maggiore dialettica, verso una maggiore coscienza femminile. In altre parole chi scioglie il suo nodo individuale vince per se stessa e per tutti e soprattutto da il suo personale contributo per colmare una mancanza che si sta facendo fin troppo evidente, anche a livello collettivo.
Sembra infatti verosimile considerare i fenomeni che abbiamo di fronte come le conseguenze patologiche che descrisse a suo tempo Neumann, di predominio dell’archetipo materno in forme pre-patriarcali. “Il predominio della grande madre [..], la regressione in uno stadio anteriore della coscienza nel quale l’uomo sta di fronte alla donna in veste di bimbo o giovinetto amato”. Neumann((Neumann E., Gli stadi psicologici dello sviluppo femminile. Tr. it. Marsilio Editore. Padova 1972. 2) 3) ))elenca alcuni fenomeni che abbiamo ancora sotto gli occhi: la crisi del matrimonio, la possibile “fanatizzazione del patriarcato”, la “dipendenza nell’uomo dalla donna vista come oggetto sessuale”, la donna che si identifica con i valori, le concezioni e le opinioni del padre oppure la “proiezione dell’uroboro patriarcale su un contenuto transpersonale” o sull’adesione ad un movimento. Silvia Vegetti Finzi ((Lagorio S., Ravasi L., Vegetti Finzi S., Se noi siamo la terra, Il Saggiatore. Milano 1996)) tempo addietro scriveva di “disturbi psicosomatici del processo generativo”: sterilità crescente, aborti volontari ripetuti, parti indotti e depressioni puerperali. Fenomeni che portano il discorso direttamente alla dimensione del femminile o meglio ancora alla dimensione che archetipicamente collega il femminile all’inizio di tutto per tutti, ossia la maternità.
Per me questo significa che è arrivato il tempo in cui gli uomini e le donne facciano i conti con parti di Anima e di Animus non più proiettabili nell’altro, per Neumann “le outsider femminili non appartengono più all’ambito proprio del patriarcato: in quanto outsider, esse sono in gran misura delle anticipatrici”.
Infine un’immagine per descrivere una possibile ipotesi di trasformazione, che per certi versi verifico nella mia pratica clinica mi viene offerta da un fumetto che ho trovato in edicola intitolato (casualmente) Lilith ((Enoch L., Lilith. Fumetto della Sergio Bonelli Editore. Milano 2008)). Ambientato in un futuro dove gli umani sono costretti a lasciare la terra per la presenza di un alieno, il compito di Lilith è quello di riconoscere e rimuovere questo alieno-parassita tornando nel passato. Lilith è addestrata per tutta la prima parte della sua vita nel riconoscimento di questa entità. Questa potrebbe essere la scommessa per la “mia” Rosa: proprio perché in grado di riconoscere una chiamata archetipica per una convivenza forzata durata per la prima parte della sua vita, potrebbe divenire una possibilità di trasformazione della storia umana. Una nuova Lilith riabilitata e addirittura al servizio dell’umana gente. Chi l’avrebbe mai detto!!
Neumann indica il cammino sconosciuto da percorrere: “qui termina la psicologia del patriarcato e ha inizio la psicologia dell’incontro, della dedizione di sé, dell’individuazione e dell’autoindividuazione del femminile, che sono gli ultimi e più alti stadi dello sviluppo psichico femminile” e io continuo a fare il mio pezzettino o almeno ci provo, insieme alle donne e ai bimbi che accompagno, nel tentativo di dare un senso sempre più pieno e reale a queste parole.